Cartellino rosso alla discriminazione: il calcio come assist all’integrazione del migrante

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La Sala del Dottorato ha ospitato l’incontro incentrato sull’ambivalente legame che intercorre tra sport, nello specifico il calcio, e la figura del migrante. A scandagliare le trame del discorso la voce di Guido Montana, cofondatore e direttore editoriale di MondoFutbol.com, accompagnato dal direttore responsabile Carlo Pizzigoni. Partecipazione anche di Alberto Urbinati, fondatore e presidente di Liberi Nantes di Roma, di Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell’associazione Antigone e fondatrice dell’associazione polisportiva dilettantistica Atletico Diritti e di Raffaella Chiodo, vice presidente FARE (Football Against Racism in Europe).

Ad aprire la discussione Guido Montana, in sostituzione del sociologo Mauro Valeri. Il punto di partenza è stato il web-reportage di MondoFutbol.com dal titolo “Nessuno in fuorigioco”, incentrato su 6 storie di condivisione delle diversità in diverse zone d’ Italia, pubblicato nel febbraio 2016, con la collaborazione di Aniello Luciano. Il lavoro, che da solo riassume lo spirito del panel, raffigura la relazione tra calcio e integrazione del migrante nell’attuale periodo di complessità politica e sociale. “È possibile pensare e agire in modo differente, in modo concreto e in modo positivo, cercando di dare al calcio e allo sport un significato importante, elevato, d’ integrazione e inclusione sociale”, sostiene Montana. Tale ottica rimanda ad un viaggio oltre la frontiera dell’indifferenza e della discriminazione, ricordando anche il contributo dato in tal senso del giornalista recentemente scomparso, Alessandro Leogrande.

Carlo Pizzigoni ha proseguito la riflessione citando il telecronista sportivo Federico Buffa: “il calcio è il vero esperanto del mondo”. Da tenere a mente sono anche le parole dell’inventore della Coppa del Mondo, Jules Rimet: “il calcio è e deve essere uno strumento di comprensione e di amicizia tra tutti i giovani del mondo”. Quindi, ha sostenuto Pizzigoni, il calcio va accettato con tutto l’insieme dei valori che si porta dietro, evitando di annullarne la dimensione più profonda. Questa è anche la missione che si prefigge MondoFutbol.com, delineando un calcio unico e compatto, in grado di incidere a tutti i livelli, va dalla finale di Champions League fino ai campionati dilettantistici giovanili. La magia del calcio è un unione che comprende tutto, partendo dalle radici locali. “Il calcio è di tutti”, come ha affermato Daniela Dani, in quanto coinvolge la collettività, divenendo uno strumento di condivisione di valori e di rispetto. Pizzigoni ha posto l’accento anche sulla comunicazione che viene messa usualmente in atto nel mondo calcistico. Spesso una narrazione errata dello stesso ne va ad inquinare i lineamenti più sani e puri.

È stato poi il turno del fondatore di Liberi Nantes, Alberto Urbinati, il quale ha sottolineato la necessità di una narrazione diversa sull’immigrazione e sul ruolo che può avere lo sport in questo processo di inclusione e di integrazione di ragazzi che vengono da storie difficili. Ragazzi i quali arrivano nel nostro paese, trovandosi a vivere in luoghi desolanti, come spesso sono i centri di accoglienza che li ospitano. I centri di accoglienza straordinari soffrono infatti di una forte carenza di quei fondi necessari per realizzare una reale formazione e integrazione sul nostro territorio. Questo fa si che in questi luoghi questi ragazzi non riescano a ricevere degli sitmoli in grando di valorizzarne le competenze, riducendo il loro soggiorno a una mera esperienza di vitto e alloggio. Il progetto Liberi Nantes ha come obiettivo invece proprio quello di stabilire un rapporto di aiuto reciproco con i ragazzi migranti, in un clima di enorme arricchimento .

Il progetto di Liberi Nantes nasce quasi undici anni fa, da un’iniziativa di nove amici che frequentavano gli stadi, percependo un clima di crescente pesantezza riguardo al razzismo. L’idea era quella di usare proprio il calcio per mandare un messaggio di inclusione e pace, utilzzando lo sport come “un aggregatore di valori positivi”. Il primo passo è stato quello di mettere a disposizione uno spazio di gioco, affittandolo ai centri d’accoglienza, con l’intenzione di formare una squadra di calcio. Dopodiché il team è stato coinvolto in un campionato ufficiale federale e ormai da 10 anni gioca in terza categoria. Il limite che al momento si presenta è quello di registrare una squadra composta interamente da rifugiati richiedenti asilo in un campionato federale. Grande snodo da superare a Roma è la richiesta del certificato di residenza per chi è presente nel centro di accoglienza straordinario, che spesso non viene concesso. In questo caso è stata ammessa una deroga per giocare nel calcio ufficiale, ma fuori classifica. Inoltre Urbinati ha ricordato che Liberi Nantes non si attesta come progetto soltanto sportivo ma usa lo sport per fare inclusione e diffondere valori sani. Una delle vittorie è stata il rendere possibile il tesseramento alle persone che normalmente per le istituzioni sportive non ne avrebbero avuto diritto, con particolare attenzione alla fascia d’età 18-30 anni. “In 10 campionati Liberi Nantes è stata per 4 volte la squadra più corretta della propria categoria”, ha sottolineato Urbinati, mettendo in luce l’attenzione rivolta al fair play della squadra di migranti. Inoltre il fondatore ha raccontato come nel 2010 gli è stato assegnato uno spazio di gioco nel quartiere di Pietralata alla periferia est di Roma. Liberi Nantes ha avuto la volontà, anche grazie all’aiuto diretto dei migranti, di riqualificare questo spazio pubblico, praticamente abbandonato, per renderlo un punto di ritrovo, che oggi coinvolge circa 100-150 atleti, di cui molti italiani. Il gioco, come elemento di inclusione e integrazione, ha reso possibile valicare barriere linguistiche, sociali e d’istruzione rilevanti, favorendo la stessa socializzazione e l’empowerment di questi ragazzi. “Indossare la stessa maglia significa acquisire una nuova identità, che supera l’identità dei singoli e quindi si acquisisce un’identità collettiva, si diventa famiglia. Questo è il primo passo per costruire poi politiche d’inclusione più importanti”, ha ricordato Urbinati. Fondamentale è perciò fare leva sulle relazioni sociali, come dimostra l’idea di attuare il budding, ossia di chiedere a studenti universitari italiani di”adottare” le pratiche sociali dei migranti, uscendo insieme per creare legami solidi. Prossimo progetto in cantiere per Liberi Nantes è quello di far fare sport alle donne migranti, lavorando verso il di un retaggio culturale e di una trama di stereotipi che precludono alle donne la possibilità di accedere al mondo dello sport.

Susanna Marietti ha spiegato l’idea di Atletico Diritti, nata dalle associazioni Progetto Diritti e Antigone, organizzazione dedita alla protezione e promozione dei diritti umani all’interno della giustizia penale. Tale associazione combina un’approccio teorico, per esempio lo studio dei sistemi penali e penitenziari europei, ad un’attività concreta, come la visita a tutte le carceri italiane per adulti e per minori al fine di monitorarne le condizioni e verificare il rispetto degli standard dei diritti umani imposti a livello sovranazionale a salvaguardia della dignità umana. Marietti ha evidenziato il parallelismo tra l’immagine del carcerato e del migrante. La missione di Antigone è stata la ricerca di “linguaggi alternativi capaci di arrivare ad un’opinione pubblica più generalista, con un messaggio d’ integrazione e rottura degli stereotipi”. Alcuni mezzi utilizzati per tale scopo sono stati la realizzazione di una graphic novel sulla storia delle carceri italiane degli ultimi 30 anni, ma anche la trasmissione radiofonica Jailhouse Rock e la stesura del libro “Il carcere spiegato ai ragazzi”. La svolta in senso sporitvo è avvenuta 5 anni fa, grazie alla collaborazione  con l’associazione Progetto Diritti, che offre assistenza legale agli immigrati. Da questa unione, con l’appoggio dell’Università di Roma 3, è nato Atletico Diritti. Il progetto include una squadra di calcio composta da 3 anime: gli immigrati, i ragazzi in esecuzione penale, insieme a 2 detenuti di Rebibbia, e gli studenti universitari. La volontà era quella di creare sia uno spazio fisico, dove sperimentare l’integrazione, il campo da gioco, sia quella di creare uno spazio simbolico e “usare un linguaggio nuovo per lanciare dei messaggi vecchi”. A questo hanno fatto seguito diverse campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle autorità sportive, come quella per velocizzare i tempi relativi al tesseramento per i rifugiati, così da permettergli di giocare nei campionati ufficiali.

Infine interviene Raffaella Chiodo, la quale ha ricordato l’aiuto dato dal FARE per combattere il razzismo, anche fuori dal campo, con la collaborazione di più di 100 associazioni in più di 40 paesi. La commistione di questi diversi gruppi, associazioni, squadre di calcio, tifoserie ha portato al riconoscimento del calcio come mezzo formidabile per “parlare senza parlare, conoscersi senza dover far altro che giocare”. L’idea di fondo è quella di operare nel mondo del calcio per combattere atteggiamenti discriminatori, razzisti e xenofobi. Infatti, sostiene Chiodo, lo sport non è solo dialogo ma anche lo specchio della società, con i suoi lati più negativi. Questo malessere si riconosce nell’Europa Occidentale e in quella Orientale. Quindi l’azione di FARE combina un’ ottica territoriale quotidiana ad un pressing rivolto alle federazioni nazionali, le leghe, i campionati, dalla FIFA alla UEFA. Inoltre un’altra tendenza, che Chiodo ha rimarcato, è la progressiva carenza di partecipazione dei giocatori italiani nelle squadre del bel paese, che sempre più si affidano al talento di giocatori stranieri.

Alla luce degli interventi ascoltati, il vademecum da tenere bene a mente è che non siamo altro che frutto del percorso delle nostre storie, un melting pot di culture e visioni differenti, che ancor oggi continuano a mescolarsi e sfidarsi sul campo da calcio. L’integrazione col migrante può rivelarsi come una ricchezza reciproca per chi la sa attuare, nell’ottica di nuove costruzioni identitarie, per l’attuazione di innovazioni sociali e territoriali e magari per scoprire chi sarà il prossimo Pallone d’Oro.