Diritti umani e attivismo: il ruolo delle ONG. Incontro con Corrado Formigli e Oscar Camps

“E’ una giornata molto importante secondo me per parlare di diritti, del ruolo delle ONG e di migranti”. Cosi esordisce sabato 6 Aprile Corrado Formigli, conduttore televisivo e giornalista italiano, in una Sala dei Notari incredibilmente affollata.

Il giornalista, in conversazione con Oscar Camps, fondatore della ONG spagnola Open Arms, dedita dal 2015 al soccorso dei naufraghi nel Mediterraneo, inaugura il panel ricordando l’importanza del tema delle migrazioni e facendo riferimento ai recenti avvenimenti relativi alla nave Alan Kurdi. Fra i 64 naufraghi a bordo dell’imbarcazione gestita dalla ONG tedesca Sea Eye, il cui approdo a Lampedusa era stato vietato, il 4 di Aprile, soltanto due bambini sono stati autorizzati a lasciare la nave per ragioni di emergenza medica assieme alle loro madri con la prospettiva certa di separarsi dai rispettivi padri e mariti. La reazione da parte della Sea Eye é stata di netto rifiuto, motivando tale scelta con le ingiuste conseguenze traumatiche che tale separazione avrebbe avuto sul nucleo familiare. Camps sottolinea quanto il trattamento differenziato in situazioni di questo tipo non sia affatto casuale, e al contrario rispecchi il timore generalizzato nei confronti di uomini di colore in Europa e la conseguente tendenza ad accogliere con maggiore riluttanza migranti di sesso maschile visti come una minaccia.

Quello appena rievocato da Oscar é solo uno dei numerosissimi episodi di inappropriato trattamento dei migranti in situazione di pericolo nel Mediterrano che Open Arms, insieme ad altre organizzazioni non governative,  si é’ impegnata a denunciare e alla quale ha tentato di porre rimedio. Open Arms, ci ricorda Formigli, ha per esempio attirato l’attenzione dei media quando si é rifiutata, prima fra tutte le ONG, di restituire dei naufraghi alla guardia costiera libica nel Marzo del 2018 nonostante le richieste da parte libica.

“Il nostro obiettivo é quello di proteggere le vite in mare. Perché? Perché questo pianeta è fatto per tre quarti di acqua e una di terra. Ci sono centinaia di migliaia di organizzazioni sulla terra, ma per quanto ne so ci sono solo 3 organizzazioni permanenentemente attive in mare: Greenpeace, Sea Shepard e ora noi. È essenziale proteggere le balene e pulire il mare dalla plastica, ma proteggere e difendere i diritti  umani in mare é la nostra prioritá” risponde Oscar alla domanda posta da Formigli riguardo alle finalità dell’organizzazione.

Oscar Camps ripercorre la storia della nascita della ONG, raccontando come la morte di Alan Kurdi nel settembre 2015 e la diffusione della terribile foto che ha immortalato la tragedia abbia rappresentato un punto di svolta per l’Europa. Formigli descrive Kurdi, profugo di guerra siriano, come “il primo bambino martire della migrazione” e concorda con Camps sul fatto che oggi la stessa foto non avrebbe avuto il medesimo impatto emotivo su una opinione pubblica anestetizzata da una narrazione mediatica tendenziosa, che raffigura gli immigrati come la causa della crisi economica. “Open Arms dà un megafono, una voce mediatica ai testimoni a bordo”, prosegue Camps, e ciò si rivela più importante che mai in un contesto di disumanizzazione dei naufraghi nelle descrizioni dei mezzi di informazione. Queste ultime forniscono una solida giustificazione ideologica per la totale inerzia della classe politica europea, a detta di Camps, meramente interessata ai rispettivi anni di legislatura. Egli denuncia l’assenza di soluzioni politiche a lungo termine che possano rendere un giorno non più necessarie le attuali manovre di emergenza effettuate dalle organizzazioni non governative. “Ci stiamo organizzando nella speranza che presto tutto cio’ non sia più necessario” dichiara Camps ‘Quanto prima legalizziamo questa situazione meglio è”, aggiunge.

“Dobbiamo ricordarci che queste persone non sappiamo se sono profughi di guerra, se sono rifugiati politici o migranti economici. Noi sappiamo che sono naufraghi scampati alla morte in mare e questo è il solo punto fondamentale”, sostiene Formigli, soffermandosi sull’importanza di una terminologia corretta quando ci si riferisce ai passeggeri a bordo delle navi SAR. Ogni categorizzazione, infatti, porta con se una forte connotazione politica e la distinzione fra naufraghi e immigrati clandestini sposta l’attenzione rispetto all’elemento di emergenza umanitaria.

” Al di fuori delle 124 miglia di distanza dalle coste questi naufraghi sono di tutti,  o meglio, di nessuno” afferma con tono provocatorio Camps, facendo riferimento alle leggi di diritto internazionale del mare. “Mi chiedo perché si distinguano le vite in mare quando vengono salvate. Vengono differenziate a seconda che siano pescatori, turisti, naviganti privati o se siano bianchi, neri o cattolici. Mi domando perché ciò accada, in un mare internazionale che appartiene a tutti. Appartiene a tutti eccetto che alle persone di colore”, prosegue poi. Ironia della sorte, è proprio alla legge del mare che queste persone affidano ogni loro speranza. Al momento dell’imbarco i migranti hanno enormi incertezze circa il successo della traversata. Sono sopravvissuti al terribile tragitto di avvicinamento alle coste per il quale hanno speso ingenti somme, hanno affrontato le mafie nel deserto, sono stati sottoposti a torture, hanno subito violenze e stupri e spesso hanno assistito alla morte dei loro familiari, infine riescono ad ottenere faticosamente un posto a bordo di tali imbarcazioni e “preferiscono rischiare la vita un’ennesima volta piuttosto che passare un giorno in più in un paese come la Libia”, continua Camps. “Non ce la farebbero a sopravvivere a un altro giro della morte in Libia”.

Un elemento ulteriore e centrale della narrativa mediatica condotta da politici e mezzi di informazione, a detta di Camps, è la descrizione di una Libia che impropriamente è riconosciuta come uno stato fornito di una struttura giuridica, di un esercito e di una guardia costiera, capaci di garantire sicurezza all’interno del suo territorio e lungo la costa, in netto contrasto con cio che l’ONU, Frontex e altre istituzioni internazionali hanno dichiarato. ” No, la Libia non é un paese sicuro, è un paese alla deriva”, esclama Camps, e necessita di essere trattato come tale. Un paese in cui 3 gruppi armati si autoproclamano governo legittimo non può essere lo stesso paese che Salvini descrive come un porto sicuro, dove i migranti devono essere riportati. Camps ha più volte ribadito il suo parere ovvero che l’Europa nei prossimi 15 anni si troverà nella situazione della Germania ed a causa della scarsa manodopoera deciderà di attirare migranti piuttosto che scoraggiarne ed impedirne l’arrivo. Camps si dichiara profondamente deluso oltre che dalla classe politica anche da quella degli intellettuali, “Non so dove siano gli intellettuali, non so perché non parlino,” afferma con sconforto.

Infine, in risposta a una domanda dal pubblico, riguardante le condizioni sanitarie a bordo delle navi di salvataggio, con particolare riferimento al numero di toilettes, cucine e personale medico, Oscar Camps dichiara: “è una follia avere 200 o 300 persone a bordo per 15 giorni ed è una follia anche dover navigare per più di 1000 miglia con 300 persone a bordo in queste condizioni perché i porti di primo approdo rifiutano lo sbarco dei passeggeri. Ma queste sono le regole del gioco, e noi crediamo che loro stiano peggio nel fondo del mare che sulla nostra barca”.

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