Stella e don Ciotti sulla corruzione: “Non basta commuoversi”

Caterina Cossu

“Io ho conosciuto l’uomo che portava in Vaticano le valigie con i soldi di Cosa nostra. Carlo Maria Martini fu il primo a parlare della corruzione bianca. Nel 1984, improvvisamente, dal Duomo di Milano parlò di solitudine, violenza e corruzione. E la Chiesa ha il dovere di parlare quando viene calpestata la dignità delle persone”. Chi racconta è don Ciotti, in una sala dei Notari colma e in silenzio. Accanto a lui, il giornalista del Corriere della Sera Gian Antonio Stella.

Si parla di mafie, di corruzione, di un Paese, l’Italia, che non sa reagire a se stesso e ai suoi mali. Così, il giornalista racconta della conversazione, riportata dagli inquirenti su atti di indagine, in cui Paolo Cirino Pomicino e Francesco Zecchina associavano giri di soldi sporchi e voti alla Madonna di Pompei. “Non è stata l’unica occasione in Italia in cui del denaro è girato per situazioni anche bizzarre come un ex voto – precisa Stella – ma quella è rimasta emblematica”. Don Ciotti, dal canto suo, ricorda che la Campania è anche quella descritta da Goethe, tinta di un verde meraviglioso. La stessa terra dove, oggi, Salvatore Picone è rimasto l’ultimo contadino di Taverna del Re e vive circondato da milioni di ecoballe, cresciutegli attorno dal 2003 a oggi. La stessa regione in cui i bambini di Caivano scrivono le lettere a Gesù, ringraziandolo “perché ci fai vivere ogni giorno di più”. Le mafie sono ovunque e hanno forme infinite, ma tutte hanno “quella puzza di putridume”, ricorda don Ciotti, citando papa Bergoglio ai tempi in cui era vescovo in Argentina.

Il prete di Libera incita quindi la sala: “L’indignazione è diventata una moda, ma da sola non basta, come non basta commuoversi. Bisogna muoversi”. E riuscire a ottenere in Italia una legge che condanni finalmente la corruzione è, per don Ciotti, un punto di partenza fondamentale, “così come ci chiede la Comunità europea dal lontano 1999”. Secondo un sondaggio dell’Unione europea, ben il 96 per cento degli italiani è convinta che la corruzione sia diffusa nel nostro Paese, ma “il cambiamento ha bisogno di ciascuno di noi, solo se ci mettiamo tutti in gioco possiamo ottenere qualcosa”.

Dati alla mano, l’inchiesta di Mani pulite non ha cambiato praticamente nulla in Italia. Quando il clamore mediatico attorno all’inchiesta si è placato, il calo delle condanne della corte dei Conti per i reati perseguiti — concussione, corruzione, falso in bilancio — è diminuito drammaticamente nei tribunali delle zone mafiose, in alcuni casi si è ridotto a zero. L’aver tolto tra il ’97 e il ’99 ogni valore legale alle confessioni fatte in aula, la legge sul falso in bilancio che ne ha abolito il reato, il dimezzamento dei termini della prescrizione, l’abolizione del carcere per il reato di concussione nonché dell’abuso di ufficio operato di fatto con la bicamerale del 2007, sono esempi di come è dallo Stato che sono venuti a mancare gli strumenti per la lotta alla corruzione. “C’è un ammasso di regole che oggi permette la corruzione in Italia”, ha commentato Gian Antonio Stella. “Nonostante ciò – hanno ricordato sia lui che don Ciotti –  nel 2013 sono stati 300 gli amministratori che hanno denunciato di aver ricevuto minacce di stampo mafioso tese a bloccare il loro operato. Gli uomini e le donne che si impegnano ci sono, sebbene non vi siano le leggi che li tutelino”.

“Nella classifica di Amnesty International sui Paesi dove si percepisce maggiormente la corruzione – ha riportato Gian Antonio Stella – siamo passati dal 33esimo posto del 1995 al 69esimo di quest’anno, dove la discesa verso il basso della classifica è un drammatico declassamento”. Un peso che, come ha titolato sul Corriere della Sera, vale nel nostro paese 60 miliardi. L’Italia non è nemmeno un Paese per gli investimenti esteri, visto che, secondo Confindustria,neanche un quinto delle aziende che scelgono paesi che danno più garanzie e affidabilità, come la Gran Bretagna, investono a casa nostra. Questo, sebbene in tutta Europa siano 3600 le organizzazioni criminali monitorate. “Il nostro compito è la denuncia, sempre — ha ribadito in chiusura don Ciotti —. Anche all’Aquila l’inchiesta sulle irregolarità degli appalti sono partite grazie al coraggio di chi, dal basso, ha denunciato. Dobbiamo sporcarci le mani, dobbiamo essere vicini alle persone”.