Il paese dei bambini perduti. La docu-serie investigativa “Veleno”

Venti anni fa, in provincia di Modena, sedici bambini vennero allontanati per sempre dalle loro famiglie. I genitori erano stati accusati di abusi sui figli e di praticare riti satanici. Alcune coppie furono condannate, altre assolte, tutte sulla base delle medesime accuse. Ma cosa è successo davvero?

Questo è lo spunto da cui sono partiti Pablo Trincia e Alessia Rafanelli per Veleno: l’altra verità nel paese dei bimbi perduti, un documentario audio a puntate pubblicato su Repubblica.it

Alessio Jacona, il giornalista che ha moderato l’incontro, ha subito chiesto come sia venuto loro in mente di realizzare un lavoro del genere. Pablo Trincia ha risposto dicendo che tutto è nato per caso, quando nel 2014 ha trovato accidentalmente il link di un tweet di un giocatore NBA che promuoveva una serie, Serial, “un audio serie investigativa con la strutturata come una serie televisiva”. La serie, 12 puntate da un’ora, ricostrusice la trama di un cold case (un omicidio avvenuto a Baltimora nel 1999). Quello che, dopo l’ascolto, colpì maggiormente Trincia fu “lo zoom infinito sui dettagli che l’audio consente” e la possibilità di ascoltare le varie puntate in qualunque momento e in qualunque luogo. L’idea è partita quindi dal format, subito Trincia ha deciso di voler realizzare qualcosa di simile, basandosi su una storia italiana. Da qui inizia la sua ricerca di un true crime, che lo porta a scovare la storia di Lorena Morselli, accusata e poi assolta, insieme al marito, per abusi satanici rituali e abusi domestici ai danni dei suoi 4 figli nell’anno 1998. La storia era potente e questo ha portato Trincia a contattare Alessia Rafanelli, redattrice del programma Le Iene, per proporle di collaborare al progetto. Dopo alcune ricerche, i due scoprono che la storia ha coinvolto non solo i 4 figli di Lorena, ma molti altri bambini, almeno 16.

Trincia si reca allora a Massa Finalese, frazione della provincia di Modena, dove gli eventi hanno avuto luogo, e scopre che il parroco della cittadina , Don Ettore Rovatti, aveva raccolto tutti i documenti relativi ai processi del caso: una sorta di zibaldone, composto da 300 e più pagine. Una vera e propria guida al podcast. L’impressione infatti era che i documenti raccolti dal parroco dovessero essere come una guida per chi in futuro si sarebbe occupato della faccenda, tanto più per l’ssoluta carenza di informazioni rispetto agli attori coinvolti in questo dimenticato caso di cronaca.

Trincia e Rafanelli vengono così a scoprire che le varie denunce sarebbero partite in seguito ai racconti di un bambino, di cui i due giornalisti riescono a rintracciare la donna che per prima lo aveva ospitato dopo il suo allontanamento dalla famiglia. La donna era in possesso di numerose videocassette. Alla luce della ricchezza di quelle immagini, i due decidono di realizzarne un documentario video, abbandonando l’ idea iniziale del podcast.

Da qui nasce però un dilemma morale: vale la pena ritirare fuori questa storia? Gli autori erano consapevoli del fatto che la loro indagine avrebbe riaperto vecchie ferite e fatto del male a qualcuno. Erano in pochissimi poi coloro che erano disposti a parlare davanti ad una telecamera e molti avevano timore di farlo per non vedere associato il loro nome a questo presunto caso di pedofilia. Ma“quando ho sentito la frase ‘Oddio non è che rischiamo di essere gli amici dei pedofili?’, ho capito che Veleno andava fatto”, dice la Rafanelli, proprio perchè, dopo tutti gli anni trascorsi e nonostante le varie assoluzioni, era chiaro come le famiglie portassero ancora sulle loro spalle colpe che non avevano. Inoltre i due autori scoprono, ma questo solo dopo la messa in onda di Veleno, che a Massa Finalese, una comunità in cui si conoscono tutti, erano molti i ragazzi di 25/30 anni che non erano a conoscenze di quei fatti. Tanto era lo shock e la paura di essere coinvolti che molti dei genitori avevano deciso di tenere i bambini all’oscuro. Un processo d’ illusione collettiva trasformatosi in una vera e propria rimozione.

Il paese dei bambini perduti. La docu-serie investigativa "Veleno"

Si sono resi però conto del fatto che realizzando un video di questo tipo sarebbero andati incontro a troppi ostacoli: alcuni temi sarebbero stati difficili da trattare in video, ma soprattutto sarebbe stato impossibile intervistare alcune delle persone coinvolte nei fatti. Dopo l’incontro e il sostegno di Mario Calabresi, direttore di Repubblica, tornano all’idea iniziale di realizzare un podcast.

Iniziano così a elaborare su un nuovo metodo di lavoro per raccontare la loro storia. Era infatti necessario creare le immagini attraverso le parole, dando alla storia un certo ritmo, rendendola essenziale e arrivando dritto al cuore del racconto. Per conquistare il pubblico era necessario riccorere ad alcuni stratagemmi:  hanno potuto contare sul lavoro di diverse persone che non provengono dal mondo del giornalismo, ma si occupano di altri tipi di narrazione, potendo così contare su un contributo più artistico (come ad esempio l’ideatore delle colonne sonore o il sound designer). Il tutto ha contributo a realizzare un prodotto che è un buon esempio di artigianato del giornalismo, funzionale a uno storytelling efficace.

Jacona è intervenuto dicendo che la peculiarità di questo racconto, proprio grazie al lavoro fatto sul metodo di narrazione, è quella di permettere all’ascoltatore di scivolare con garbo e lentamente all’interno degli eventi, fino ad arrivare al punto di svolta. Ciò che infatti lo ha più colpito è come, per le prime tre puntate, nessuno degli ascoltatori si aspetti che poi la situazione raccontata si ribalti nel suo esatto contrario.

Oltre ad essere un lavoro molto interessante, che ha ricevuto un’ ottima risposta da parte del pubblico, Veleno può essere visto anche come un apripista del genere. O almeno è ciò che si augura Trincia. All’inizio infatti avevano forti dubbi in merito a quanto le persone sarebbero riuscite a capire le potenzialità di questo tipo di podcast,  che permette estrema libertà, anche in termini di immaginazione.

Veleno ha mostrato come il pubblico chieda contenuti di questo tipo, ma la loro realizzazione deve anche passare attraverso la volontà di giovani giornalisti di sperimentare nuovi format. Se la radio prima era limitata dal fatto che non c’era possibilità di recuperarne i contenuti una volta andati in onda, ora, grazie al web e al podcast, tutto è reperibile e usufruibile ovunque ci si trovi.