Un Freedom of information act per l’Italia

Foto: Farah Wael
Foto: Farah Wael

 

Il 4 luglio 1966 il presidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnson emanava il “Freedom of information act” (Foia). Il principio alla base di questa legge era la trasparenza del governo federale, il fatto che i cittadini non siano sudditi e debbano perciò essere amministrati con trasparenza. Il Foia ha permesso l’accesso totale o parziale per giornalisti e cittadini a documenti classificati, svelando i retroscena in casi come Watergate o i voli fantasma.

Quasi 50 anni dopo in Italia non è ancora stato adottato un Freedom of information act. Di questo tema hanno discusso mercoledì 30 aprile alle 16 al Centro servizi G. Alessi: Helen Darbishire, fondatrice dell’Access info Europe, Alexandre Salha, attivista per la libertà d’informazione in Libano, Andrea Menapace, co-fondatore di Diritto di sapere, Paolo Coppola, deputato del Partito Democratico, e Ernesto Belisario, direttore dell’Osservatorio per l’open government.

I dati sulla trasparenza e la qualità della stampa in Italia e in tutta Europa non sono molto confortanti. Nel nostro paese  i giornali sono numerosi, ma la scarsa trasparenza legislativa incide negativamente facendo scivolare l’Italia verso le posizioni basse della classifica mondiale. “Ci sono alcuni ostacoli da superare nella sfida verso gli open data”, – ha dichiarato Helen Darbishire – “Innanzitutto c’è bisogno di far capire alla società che è un suo diritto essere informata in modo trasparente. Si percepisce, inoltre, la paura dei governi nel rendere pubbliche certe informazioni, paura delle critiche e delle conseguenze. Ma l’accesso pubblico alle informazioni non farebbe altro che rendere più forti gli stessi giornalisti nel loro lavoro, più forti le amministrazioni pubbliche e più attivi i cittadini”.

Quali sono i maggiori impedimenti per l’adozione di un “Foia” in Italia? Già un anno fa, durante il festival, l’associazione “Diritto di sapere” aveva presentato i dati del primo monitoraggio sull’accesso all’informazione in Italia. “Un anno dopo i dati e gli ulteriori monitoraggi effettuati non lasciano spazio all’ottimismo”, ha commentato Andrea Menapace. “La mancanza di un Foia è ancora una grave debolezza. Tuttavia, il fatto che Matteo Renzi nel suo discorso di insediamento al senato abbia parlato di open government e trasparenza rappresenta una svolta”.

Cosa serve, dunque, per un vero cambiamento? “Sicuramente una diversa cultura delle pubbliche amministrazioni che devono passare dalla semplice esecuzione di normative alla resa pubblica del proprio operato. I giornalisti italiani stanno iniziando a capire che possono chiedere e ottenere i dati che servono per esercitare davvero il loro diritto di cronaca. Dai cittadini, invece, serve uno sforzo verso una maggior partecipazione. La resa pubblica dei dati non deve essere fine a se stessa, ma nella prospettiva di una maggior fruizione di servizi”.

Una proposta concreta per il libero accesso ai dati in Italia può venire da Paolo Coppola, parlamentare del Partito Democratico, primo firmatario di una proposta di legge in favore degli open data. Le leggi attuali, infatti, permettono di visionare i dati solo ai diretti interessati e solamente dietro una richiesta motivata. L’obiettivo è quello di cambiare questa norma e rendere pubblico l’accesso ai dati della p.a.

Ma come dovrà essere strutturata questa legge? “Non potrà essere una legge studiata nelle segrete stanze, ma piuttosto una legge scritta attraverso un processo aperto a tutti i soggetti coinvolti nella tematica”, ha sostenuto Ernesto Belisario. “Una legge che sia approvata in tempi brevi e che sappia guardare in là nel tempo, non basata come al solito sulle buone prassi del passato. Una volta un dirigente di un’azienda mi ha detto che l’informazione è potere, perciò loro non lo davano a tutti. Io vorrei che di qui a poco il potere dell’informazione fosse disponibile per tutti”.

Anche oltre i confini nazionali si lotta per l’accesso pubblico all’informazione. Alexandre Sahla, attivista libanese, da anni cerca di far introdurre un Freedom of information act in Libano. “Il Libano si trova al 106° posto su 180 Paesi nell’indice mondiale sulla libertà di stampa. Dal 2008, quando è stato creato l’Access to information network molto è stato già fatto. Le conferenze, i workshop che abbiamo organizzato e una forte campagna pubblicitaria hanno sensibilizzato i libanesi. Il governo libanese, nonostante opponga tuttora forti resistenze, ha approvato leggi contro la corruzione. Ancora nel 2014, però, i giornalisti sono vittime di pressioni fisiche e psicologiche e l’81% dei libanesi non ha accesso all’informazione. Per questo l’obiettivo resta ancora lontano da raggiungere”.

Michele Pasculli
@PasculliMichele